sabato 17 marzo 2012

Odissea



 Omero
La figura di Omero è stata sempre avvolta nella leggenda: fin dall'antichità egli è stato rappresentato come un aedo cieco, che vagava di città in città per cantare i suoi poemi. In realtà neppure i Greci possedevano notizie sicure sulla sua esistenza, che veniva variamente collocata tra
la guerra di Troia (fine XIII sec. a. C.) e il VI sec. a. C..
Gli studiosi moderni propendono per la seconda metà dell'VIII sec. a. C..
Le diverse ipotesi formulate  nel tempo su Omero hanno
dato origine alla cosiddetta "questione omerica".
Gli studiosi si sono divisi su due ipotesi:
1. secondo alcuni l'Iliade e l'Odissea sarebbero state composte da un unico autore, la prima nella maturità, la seconda nella vecchiaia (tesi unitaria);
2. secondo altri i due poemi sono opera di due autori diversi e solo l'Iliade sarabbe da attribuire ad Omero (tesi separatista).
Tutti concordano tuttavia nel ritenere che:
a. la composizione dell'Iliade è precedente a quella dell'Odissea;
b. i poemi rappresentano il punto d'arrivo di una lunga tradizione orale;
c. la società nella quale furono concepiti è quella tra il IX e l'VIII sec. a. C.;
d. ciascun poema rivela una struttura unitaria e una forte coesione interna.
 
L'Iliade e l'Odissea costituiscono i modelli originari dell'arte narrativa di tutti i secoli successivi. Con essi Omero ha saputo cogliere, infatti, alcuni aspetti fondamentali  dell'esperienza umana:
L'Iliade rappresenta il modello di una situazione statica, di perenne conflitto senza conclusione (l'interminabile assedio di Troia). Tale modello si ripresenterà sempre in letteratura, come rappresentazione di contrasti di forze avverse o come conflitto individuale all'interno della coscienza.
 L'Odissea costituisce, invece, il modello dinamico, che si
presenta sotto la forma del viaggio di ritorno, della necessità di ricordare e ritrovare ciò che è stato perduto: la felicità, le origini, l'amore, gli affetti familiari.
Il lungo e pericoloso viaggio di Ulisse verso Itaca è anche  simbolicamente ricerca interiore e sarà presente sotto forme diverse nella letteratura di ogni tempo. 

L'opera prende il titolo dal protagonista Odisseo, Ulisse per i Latini, l'eroe greco famoso per la sua intelligenza e la sua astuzia.
Il poema racconta il suo lungo viaggio per ritornare a Itaca, la sua isola, dopo la caduta di Troia. L'Odissea appartiene dunque al ciclo di narrazioni chiamate nostoi  che, sullo sfondo della guerra di Troia, furono composte dagli aedi  per raccontare gli avventurosi ritorni in patria degli eroi greci.
L'Odissea: ricerca infinita

Il viaggio di Ulisse è all'origine di tutta la cultura occidentale.
Compiuto da un uomo che desidera solo tornare a casa dopo una guerra durata dieci anni, esso contiene in sé i simboli della contraddizione umana: il desiderio della scoperta e la nostalgia del ritorno.
Le circostanze  avverse e la capricciosa volontà degli dei  spingono  Ulisse ad affrontare inenarrabili avventure e a vivere esperienze drammatiche in un mondo popolato da mostri e privo di riferimenti certi. Così egli attraversa i mari e si spinge nelle regioni più remote finché, giunto agli estremi confini del mondo, resta come sospeso per sette lunghi anni nell'isola della divina Calipso, esule nostalgico che sente sempre vivo il richiamo della patria e degli affetti familiari.
 Torna infine nella sua amata Itaca, da cui era rimasto lontano da vent'anni, grazie alla sua ostinazione e alla sua lucidità, che gli hanno permesso di opporsi alla sorte avversa. 
Struttura
L'Odissea, come l'Iliade, è composta di 24 canti in esametri, raccolti intorno a tre nuclei tematici fondamentali:
·La telemachia (libri I-IV): è dedicata a Telemaco, figlio di Ulisse, che parte alla ricerca di notizie del padre;
 
·I viaggi di Odisseo (libri V- XII): contiene il racconto delle peregrinazioni dell'eroe nel Mediterraneo;
 
·Il ritorno e la vendetta (libri XIII- XXIV): vi si racconta il ritorno di Ulisse a Itaca e la sua vendetta sui Proci.
 
Ulisse: di volta in volta il guerriero, il predone, il mentitore, l' avventuriero, il navigatore, l'intra-prendente, il solitario, il saggio, il paziente, il figlio, il padre, lo sposo, l'amante, il cinico, il vendicatore, il giusto, l'empio, il devoto. Insomma...Ulisse "uomo", nel bene e nel male. Ulisse prototipo della nostra specie: le sue contraddizioni sono le nostre e nostre sono le sue speranze e le sue paure.
In tal senso egli è per noi familiare, come un compagno invisibile, e sta sempre al nostro fianco, ovunque e comunque.
Ognuno di noi lo porta dentro di sé, se appena vorrà vivere la sua piccola vita.
"La sua Itaca" è ancora e sempre "la nostra Itaca" . 
 
I fatti narrati nel poema durano 34 giorni, durante i quali si intrecciano le due diverse vicende di Ulisse e di Telemaco, che fino a un certo punto (31 gg.) procedono parallelamente e solo nel trentunesimo giorno confluiscono nello stesso solco.
Inoltre il racconto delle sue avventure che Ulisse fa al re Alcinoo (dal IX al XII libro) costituisce una lunga         
Col ritorno di Ulisse ad Itaca si ritorna infine al piano del presente. Come si può ben vedere, il poema presenta una complessa struttura ad anello (presente/ passato/ presente), nuova rispetto all'Iliade. 
 
Lo scenario entro cui si svolgono i fatti narrati è il Mediterraneo, nelle cui acque e sulle cui sponde si snoda l'itinerario di Ulisse.
I primi libri vengono occupati  dal viaggio di Telemaco a Pilo e Sparta e dai racconti sui vari  nostoi  che, prima Nestore, poi Menelao ed Elena, fanno al figlio di Ulisse.
 
Con la comparsa di Ulisse sulla scena, la vicenda si sposta prima nell'isola di  Ogigia, poi, dopo il naufragio, a Scheria, isola dei Feaci, dove l'eroe, attraverso il racconto di tutte le sue avventure dalla caduta di Troia al suo arrivo nell'isola, ci permette di allargare lo sguardo a tutto il Mediterraneo.
L'ultima parte si svolge unicamente ad Itaca.
La realtà storica

 
Al di là delle vicende fiabesche che vi sono narrate, l'Odissea è una fonte preziosa di informazioni sul Medioevo ellenico,       età sulla quale  non si possiedono peraltro testimonianze scritte.
 
La base storica del poema si collega con i primi viaggi nel Mediterraneo ad opera di Cretesi, Micenei, Fenici.

La società appare più complessa di quella dell'Iliade:
l' aristocrazia guerriera  he detiene il potere presenta caratteristiche e comportamenti diversi rispetto a quella rappresentata nell'Iliade;
compare il mondo quotidiano con le varie attività economiche e la stratificazione sociale (artigiani, medici, aedi, indovini, braccianti,servi);
è molto più rilevante la presenza di figure femminili.
     
     

Guida alla lettura, analisi e commento di una poesia.


Leggere, analizzare e commentare una poesia.

Leggendo le poesie avrai notato che sono tante e diverse: alcune sono allegre, altre malinconiche, alcune buffe e divertenti, altre tristi e angoscianti, alcune stupite, altre ironiche e argute, anzi lo stesso poeta scrive poesie di stile diverso e con stati d'animo differenti.  
Non tutte le poesie piacciono a noi lettori nella stessa misura. Alcune ci appaiono subito chiare e vicine alla nostra esperienza, altre ci sembrano diffi­cili ed estranee, altre ci lasciano indifferenti, pur giudicandole belle, altre ci suggeriscono immagini, ricordi, pensieri.
Ogni lettore e ogni lettrice ha “le sue poesie” e  “i suoi poeti” più cari. 
Non sempre si può dire immediatamente: “questa, poesia mi piace, non mi piace”.   
Anche quando alla prima lettura una poesia appare difficile o poco interes­sante, possiamo scoprire, a un'analisi più attenta, significati e suoni che non avevamo notato e che la rendono significativa.
Ma allora, come si legge e si apprezza una poesia?     
Prima di tutto è importante conoscere il linguaggio poetico, saper apprez­zare le abilità stilistiche per gustare a fondo la composizione delle parole e delle frasi e saper leggere con il giusto ritmo i versi.     
È interessante poi leggere più poesie dello stesso autore, avere notizie sulla persona che le ha scritte: sapere in quale periodo e dove ha vissuto, che esperienze ha fatto, che amici aveva, quali erano le sue idee e i suoi problemi. In tal modo alcune composi­zioni assumono un sapore diverso, più intenso, divengono più comprensibili. 
Infine per leggere versi è necessaria una disponibilità particolare; occorre calma, tranquillità, disposizione d'animo, pazienza e capacità di saper ascoltare.  

Per leggere una poesia

1. Leggere lentamente ad alta voce o ascoltare la poesia, senza preoccuparsi troppo di capire ogni passaggio, lasciandosi trasportare dal ritmo, dalle impressioni sonore, da alcune parole o immagini;
2. Leggerla ancora più volte, tra sé, silenziosamente, soffermandosi sulle  parole e su ogni frase.
3. Cercare di ricostruire il senso generale della poesia.
4. Sottolineare le parole, i suoni e le espressioni più suggestive dei versi.
5. Analizzare la forma, le rime, il ritmo, il tono, lo stile che il poeta.ha scelto.
6. Individuare le immagini e le metafore e approfondirne il, significato.
7. Raccogliere, se è possibile, notizie sull'autore, sul momento in cui la poesia è stata scritta, per scavarne più a fondo il significato.
8; Riflettere sul messaggio contenuto nei versi e, secondo la propria esperienza e la propria sensibilità, giungere a una riflessione personale.

L’analisi e il commento di una poesia

Per aiutarti nell'analisi e nel commento di una composizione poetica, ti sug­geriamo un percorso che può guidarti nell'interpretazione di una poesia ed esserti utile per scrivere un testo di commento.
1. Presentazione della poesia, del tema centrale, del titolo e dell'autore.
Presenta la poesia in generale, chiarisci da chi è stata scritta, eventualmente accenna a qualche notizia sull'autore che possa avere importanza per comprendere la poesia.
2. Esposizione dell'argomento della poesia.
 Esponi brevemente il contenuto della poesia, definendo se racconta un episodio o esprime uno stato d'animo, specifica in quale ambiente si svolge.
3. Analisi della forma poetica.
Rileva se la poesia presenta versi in rima, se sono lunghi o brevi; stabilisci se i versi, o alcuni di essi, hanno un ritmo particolare. Annota se, la poesia  è divisa in strofe o no.
4. Analisi del linguaggio poetico.
Individua nella poesia parole o espressioni intense, fa' attenzione alle ripetizioni e ai giochi di suono e di parole.
5. Interpretazione delle immagini.
Analizza le immagini più suggestive, le similitudini o le metafore create dal poeta, rifletti su di esse e su ciò che l'autore ha voluto comunicare.  
6. Riflessioni sul messaggio del poeta e tue personali.
 Considera i sentimenti e i pensieri che il poeta ha voluto esprimere ed esamina le tue impressioni, le tue valutazioni e i tuoi stati d'animo.
 
 Per esemplificare ciò che abbiamo detto, ti presentiamo due testi di commen­to, scritti da ragazzi della tua età: il primo costituisce un esempio incompleto; il secondo è migliore e più specifico. Giudica tu stesso.
Entrambi riguardano la poesia Congedo di Federico Garcìa Lorca.

Congedo
Quando morirò                                  
lasciate il mio balcone aperto.

Il bambino mangia arance     
(Dal mio balcone lo vedo.)

Il mietitore taglia  il grano
(Dal mio balcone lo sento.)

Quando morirò
 lasciate il mio balcone aperto.


      Commento della poesia Congedo di F.G. Lorca.


ARGOMENTO
Il poeta dice che quando morirà vuole che il suo balcone rimanga aper­to per sentire la sua famiglia      
 F. Garcìa  Lorca si sentiva morire e così ha scritto questa poesia. 
AUTORE
Ripete due volte di lasciare il balcone aperto perché ci tiene proprio.                                                          
ANALISI DELLA FORMA
La poesia è molto corta e senza rima e vuol farci capire che la morte è brutta.                                              
 RIFLESSIONE       PERSONALE
Questa poesia mi è piaciuta perché è facile e piena di significati                                                        
                                                                                                                                                                                               

 Commento della poesia Congedo di F. Garcìa Lorca.                                              .
L'AUTORE
 F.G. Lorca è un poeta spagnolo e ha scritto questa poesia pensando, alla morte e al momento in cui doveva lasciare tutte le cose più care.
IL TEMA
La poesia è breve, è composta di quattro strofe di due versi e le parole sono molto sempliciE' stata scritta senza rima; secondo me  per non farla   recitare come una filastrocca, ma con un adeguato sentimento. 
 L'ANALISI DELLA FORMA
Il poeta usa un metodo speciale, ripete la stessa frase all’inizio e alla  fine: «Quando morirò lasciate il mio balcone aperto».
L'ARGOMENTO
Egli vuole continuare a vedere, anche dopo la morte, il bambino che mangia le arance e a sentire il contadino che miete il grano.L'ambiente sembra un posto di campagna un piccolo paesello.
RIFLESSIONE PERSONALE
Secondo me, il poeta non ha paura di morire e dopo la morte vuole continuare a sentire i suoni e a vedere le cose, che guardava dal suo balcone e che gli piacevano di più. La poesia, che sembra sulla morte, vuole esprimere l'amoredi F.G. Lorca per i suoi campi e per la gente.

La filastrocca



Lo studio della filastrocca è una buona introduzione alla poesia
Anche i bambini conoscono alcune poesie: sono poesie semplici, divertenti, infantili, ma già contengono molti elementi della «vera» poesia. Sono le filastrocche, le prime forme poetiche che tutti abbiamo imparato da piccoli e che non abbiamo più di­menticato. Le filastrocche sono poesie semplici e divertenti, molto in uso tra la gente comune, che hanno versi facili, parole ripetute, un ritmo molto cadenzato, argomenti scherzosi e fantasiosi usati familiarmente con i bam­bini o tra i bambini stessi per vari scopi: far addormentare un bimbo capriccioso, insegnare le cose più semplici, fare la conta prima di un gioco. Non si sa chi le abbia inventate e la loro origine è lon­tana nel tempo: forse erano incantesimi popolari per scacciare le sventure che si abbattevano sulla povera gente, oppure cantilene scherzose per non pensare ai guai di tutti i giorni.

Le filastrocche, come le fiabe, ebbero la loro prima formulazione nei dialetti e per questo ogni regione italiana ha un suo patrimonio di filastrocche. Inoltre chi le pronunciava ogni volta cambiava qualcosa, aggiungendo o toglien­do parole; le formule si tramandavano così sempre di­verse: questo spiega la grande varietà di filastrocche giunte fino a noi.

Ci sono, però, anche «filastrocche d'autore», create da noti scrittori contemporanei (Orengo, Piumini, Rodari e molti altri) sullo stile delle antiche cantilene infantili. Anche in questi componimenti lo scopo principale è quello di divertire, di rallegrare il pubblico, e quindi ven­gono presentate situazioni assurde e irreali, spesso con un linguaggio, immaginario e fantastico.

Sul tuo quaderno: 1. definisci la filastrocca. 2. spiega quali sono le caratteristiche della filastrocca 3. esponi qual è l’origine delle filastrocche. 4 indica quali sono le filastrocche d’autore e perché vengono scritte.

Copia sul quaderno la filastrocca e gli esercizi
1. Filastrocca corta e matta

Filastrocca corta corta,

il porto vuol sposare la porta,

la viola studia il violino,

il mulo dice: - Mio figlio è il mulino;

la mela dice: - Mio nonno è il melone;

il matto vuol essere un mattone,

e il più matto della terra

sapete che vuole?

Vuol fare la guerra!


· Quale punteggiatura c'è alla fine di ogni riga? Scrivilo sul quaderno.

Prima riga:................ Seconda riga............... Terza riga.......................... Quarta riga......................... Quinta riga.................... Sesta riga................: Settima riga................... Ottava riga..........................

· Tralasciando la prima riga, scomponi la fi­lastrocca in frasi di senso compiuto. Vai a capo solo quando la frase è finita.

· In quali righe sei andato a capo in modo diverso dall’autore?

· Ricopia sul quaderno solo l’affer­mazione giusta:

Le frasi che compongono la filastrocca continuano sulla stessa riga finché la riga non è finita

Le frasi che compongono la filastrocca vanno a capo anche se c'è ancora spazio sulla stessa riga

II verso

In base agli esercizi precedenti hai capito che in poe­sia non si va a capo quando la frase è finita, ma se­condo le necessità del componimento, che non sem­pre coincidono con quelle della grammatica. Le righe di testo, in poesia, si chiamano versi (dal la­tino vertere = volgere, tornare) e ogni verso ha una certa lunghezza, determinata dal numero di sillabe che lo compongono. Attenzione: il conto delle sillabe, in poesia, segue re­gole particolari. Una di queste, ad esempio, stabili­sce che la vocale finale di una parola forma una sola sillaba con la vocale iniziale della parola seguente (es. studia il violino si sillaba così: stu/dìail/vio/li/no).

· Abbiamo diviso in sillabe alcuni versi della filastrocca. Continua tu sul quaderno.

a) Fi/la/stroc/ca/cor/ta/cor/ta

b) il/por/to,

e) la/vio/la/stu/diail/vio/li/no

d) Il/mu/lo/di/ce/Mio/fì/glioèil/mu/li/no

e) la/me/la

f) il/mat/to

g) eil/più/mat/to/del/la/ter/ra

h) sa/pe/te/che/

· Come si chiamano in poesia le righe di testo?

· Da che cosa si capisce che l’autore non ama la guerra?

· Perché l’autore dice nel titolo che questa filastrocca è matta?

· L’autore pensa che chi vuole fare la guerra sia matto. Condividi questo suo pensiero? Esprimi la tua riflessione in merito.

· Quali sono a tuo avviso i motivi che spingono gli uomini a fare la guerra?





Copia sul quaderno la filastrocca e gli esercizi
2. Domani è domenica

Domani è domenica

tagliamo la testa a Menica,

Menica non c’è,

tagliamo la testa al re.

Il re è malato,

la tagliamo al soldato.

Il soldato fa la guerra,

pancia all’aria schiena in terra.

· Nei primi due versi della filastrocca ci sono tre parole che si assomigliano. Quali?

· Delle tre parole che hai scritto nell’esercizio precedente, una contiene tutte le lettere che formano le altre due. Quale?

· Quale parola si ottiene cancellando solo due lettere?

Quale si ottiene spostando una lettera e cancellandone altre due?

· Scrivi sul quaderno le parole finali dei versi e collega con un segno quelle che terminano con un gruppo di lettere uguali. Segui l’esempio

Domenica

Menica

Riguarda quanto hai appena scritto e metti una lettera alla fine di ogni riga ( A, B, C), dove a suono uguale corrisponde lettera uguale. Ad esempio:

Domenica A

Menica A

La rima

Come hai notato negli esercizi che hai appena ese­guito, i versi possono terminare con parole che han­no le ultime lettere uguali: questa identità di suono si chiama rima, ed è un tratto caratteristico della poesia. La rima, infatti, serve a creare un ritmo, una caden­za particolare nel testo, ed è possibile costruire sche­mi di rime diversi. Quella che tu hai rilevato nella fi­lastrocca, abbinando lettera uguale a suono uguale (AA BB CC ecc.), viene definita rimo baciata, in quan­to rimano tra loro, a due a due, i versi vicini (primo e secondo, terzo e quarto e così via).

Copia sul quaderno la filastrocca e gli esercizi

3. L'omino della gru

Filastrocca di sotto in su

per l'omino della gru.


Sotto terra va il minatore,

dov'è buio a tutte l'ore;


lo spazzino va nel tombino,

sulla terra sta il contadino,


in cima ai pali l’elettricista

gode già una bella vista,


Il muratore va sui tetti

e vede tutti piccoletti...


ma più in alto, lassù lassù,

c'è l'omino della gru:


cielo a sinistra, cielo a destra,

e non gli gira mai la testa.

Le strofe

Nella filastrocca ogni due versi c'è uno spazio bianco, così che i versi risultano raggruppati a due a due. In poesia i gruppi di versi riuniti tra loro si chiamano: Strofe. Le strofe possono essere composte da più versi (due, tre, quattro, ecc.) e prendono il nome dalla quantità di versi che le costituiscono. Distico: due versi. Terzina: tre versi. Quartina: quattro versi.

· Nella filastrocca quante strofe troviamo e come si chiama questo tipo di strofa?

· Cos’è la rima e a cosa serve?

· Cos’è la strofa?

Copia sul quaderno le filastrocche e gli esercizi

4. C'era una volta Cecco Rivolta

C'era una volta

Cecco Rivolta.

Rivoltando i maccheroni,

se la fece nei calzoni.

La sua mamma lo picchiò,

il povero Cecco si ammalò.

S'ammalò di malattia,

povero Cecco, lo portano via,

lo portano via con la barella,

voglion portarlo sottoterra.

Sottoterra c'eran le scale,

povero Cecco, si fece del male,

perché sull'ultimo scalino,

cadde e si ruppe il mignolino.



La struttura: rima baciata, rima alternata e quasi rima

Nella filastrocca le rime sono disposte lungo il componimento in modi diversi. A volte i versi in rima sono uno di seguito all'altro (volta/rivolta, maccheroni/calzoni); in questo caso si ha la rima baciata AABB. Altre volte il primo verso rima con il terzo, il secondo con il quarto, in questo caso si ha la rima alternata ABAB. Ci sono però anche versi che non finiscono con una vera e propria rima, ma solo con suoni simili. Si chiamano assonanze quelle in cui cambiano le consonanti e rimangono uguali le vocali (mare/male/pane), consonanze quelle in cui cambiano le vocali e rimangono uguali le consonanti (male/mela/ mulo)per semplificare chiameremo i suoni simili quasi rime.

• Segna le rime e le quasi rime della filastrocca con le lettere dell'alfabeto. • Hai trovato quasi rime? In quali versi?

• Spiega cosa si intende per: rima baciata, rima alternata, assonanza e consonanza

5. Il grillo e la formica


Stava lo grillo in un campo di lino;

la formicuzza gliene chiese un filino.


Disse lo grillo: - Che cosa ne vuoi fare?

- Calze e camicie; mi voglio maritare.


Disse lo grillo: - Lo sposo sono io.

La formicuzza: - Contenta sono anch’io.


Quando lo grillo fu per dar l’anello,

cascò in terra e si ruppe il cervello.


La formicuzza andò di là dal mare,

cercar l’unguento pel grillo medicare.


Quando fu già là vicino al mare

Venne la nova che il grillo stava male.


Quando fu già là vicino al porto,

venne la nova che ‘l grillo gli era morto.


La formicuzza andò sul bastimento,

pel grillo morto fe’ questo lamento:


Povero grillo! avea sì bel bocchino

gli stava bene in bocca il sigarino.



Povero grillo avea sì bella gamba,

gli stava bene la calza rossa e gialla.


Povero grillo! avea sì bel piedino,

gli stava bene in piè lo stivalino.


1. Nella filastrocca viene usato il discorso diretto per riportare le parole dei due protagonisti. Sottolinea in rosso le parole del grillo e in blu quelle della formica. 2. Quante strofe compongono la filastrocca? Di quanti versi è composta ogni strofa? 3. Indica il tipo di rime presenti nella filastrocca. 4. Sottolinea, se sono presenti, le rime baciate in rosso , le rima alternate in blu, le quasi rime in nero.

PER RIASSUMERE: Il verso è l’insieme di parole contenute in una riga di una filastrocca o di una poesia. Ogni riga può variare di volta in volta come lunghezza. Le parole che formano il verso sono, a loro volta, formate da sillabe: sono proprio le sillabe che costituiscono l’unità di misura di un verso. A seconda del numero di sillabe, infatti il verso prende un nome diverso: ternario (composto di tre sillabe); quarternario (composto di quattro sillabe); quinario (composto di cinque sillabe); senario (composto di sei sillabe); settenario (composto di sette sillabe); ottonario (composto di otto sillabe); novenario (composto di nove sillabe); decasillabo (composto di dieci sillabe); endecasillabo (composto di undici sillabe). Nelle poesie, spesso, i versi sono disposti a gruppi, nei quali il numero dei versi stessi può variare. Ogni gruppo di versi prende il nome di strofa.

I versi possono essere legati tra loro dalla rima, ossia dalla ripetizione di suoni uguali in due o più parole a fine verso. La rima può essere:

• baciata, quando rimano fra loro le parole finali di due versi consecutivi. In questo caso le rime si indicano con lo schema metrico AA, BB, CC, ecc.

• alternata, quando il primo verso rima con il terzo e il secondo con il quarto. In questo caso le rime si indicano con lo schema metrico ABAB

• incrociata quando il primo verso rima con il quarto e il secondo con il terzo. In questo caso le rime si indicano con lo schema metrico ABBA. I poeti, spesso, ottengono un effetto simile alla rima con l'assonanza e la consonanza. Nell'assonanza le sillabe finali di due parole presentano vocali uguali, ma consonanti differenti. Nella consonanza, invece, sono uguali le consonanti e diverse le vocali.


· Prendendo lo spunto da C’era una volta Cecco Rivolta, inventa la storia di un bambino che viene sempre punito perché sbaglia a fare le cose, ma alla fine si prende una rivincita.

· Rileggi la filastrocca del grillo e la formica e inventa un finale diverso alla storia partendo dal momento dell’incidente.

· Ti suggeriamo adesso una serie di parole in rima fra loro. Prova a comporre tu delle brevi e divertenti filastrocche, servendoti del maggior numero delle parole indicate: bambino pianino; minestra finestra; scodella padella; marmellata serenata; Pinocchio ginocchio; canzone persone; dente incidente.


La starna
Stanca stasera cala la starna sopra la panca scruta la Marna,

poco starnazza, molto starnuta

la strana, scarna, starna canuta.


La zanzara
"Buona zera!" mi dice la zanzara strofinando le zampe allo zerbino,

"ho tanta zete!" e, zaffete! mi azzanna

come zitella che scocchi un bacino.



L’assiolo
Se il castello è raso al suolo

su di un sasso mi consolo

all'assolo dell'assiolo


L'allitterazione nelle filastrocche

II poeta con le parole crea una musica.

Nella poesia le parole si rincorrono attraverso i suoni. Quando uno stesso suono o suoni simili si ripetono all'inizio o all'interno di due o più parole vicine, si ha l'allitterazione, come nella frase: Dopodomani Dario dovrà darci indietro i due dadi del gioco dell'oca. Il poeta toti scialoja ha scritto molte filastrocche che fanno un grande uso dell'allitterazione e che sono diventate famose perché offrono tante immagini indimenticabili.

Come vengono costruite filastrocche del genere?

Proviamo a capirlo utilizzando un testo di Scialoja.
Il corvo

Ho visto un corvo sorvolare Orvieto

Volava assorto, né triste né lieto.

L'autore ha scelto un animale: il corvo e una località: Orvieto che contiene parte della parola corvo è della parola lieto.

Osserva tutti i possibili suoni simili che si ripetono:

a. visto corvo sorvolare Orvieto volava

b. visto triste

e. corvo sorvolare Orvieto (e anche assorto)

d. sorvolare volava

e. Orvieto lieto

f. visto Orvieto assorto lieto

Ce ne sono altri, anche singoli? Qual è la vocale che ricorre più frequentemente?



Leggi un'altra filastrocca di scialoja.

La biscia

Una biscia, a Brescia, lascia

Il tempo che trova;

se attraversa sulle strisce

nessuno la approva.



· Osserva come è stata costruita e quali suoni si ripetono nella filastrocca di Scialoja.

L’autore ha scelto un animale:……………………………….

e una località: …………………………………………………

I suoni che si ripetono sono:………………………………….

· Costruisci una breve filastrocca che abbia per protagonista una civetta o un topo o l'animale che preferisci; inserisci anche tu nel testo qualche allitterazione. Segui lo schema di Scialoja.

Animale

Località

Suoni che si ripetono

Titolo

Testo


Il limerick


C'era un vecchio di Livorno

C'era un vecchio di Livorno
Che mangiava ragni arrosto con contorno;
Li prendeva con tè pane e burro
Sulla riva del mare verdazzurro,
Quel romantico vecchio di Livorno.



C'era una signorina di Licarsi

C'era una signorina di Licarsi
La cui chioma tendeva ad arricciarsi
S'arricciò su pei rami di fico
E per tutto l'oceano infinito
Quell'invadente signorina di Licarsi.


 C'era un vecchio di Forlì

C'era un vecchio di Forlì
Che aveva un grosso bove e lo smarrì;
Ma dissero: «Non vedi ch'è salito
Sulla cima di quel fico,
O irritante vecchio di Forlì?»

C'era un vecchio di Dronero

C'era un vecchio di Dronero
Che leggeva con un piede in aria Omero;
Quando dal crampo si sentì trafitto
Saltò giù dalla rupe a capofitto,
II che finì quel vecchio di Dronero.

Edward Lear, Il libro dei Nonsense



Il dottore di Ferrara

Una volta un dottore di Ferrara
voleva levare le tonsille a una zanzara.
Ma il furbissimo insetto
si nascose nel colletto
del tonsillifico dottore di Ferrara.


Il dottor Cirillo

Un dottore di nome Cirillo
voleva fare un'iniezione a uno spillo.
Lo spillo si arrabbiò
e il naso bucherellò
a quel siringoso dottor Cirillo.

II dottor Benedetto

C'era un bravo dottore di nome Benedetto
che voleva far dire trentatré a un galletto.
Fece il gallo, lì per lì,
trentatré volte chicchirichì...
Così diventò sordo il dottor Benedetto.


Tre dottori di Saronno

Tre dottori di Saronno
sbadigliavano per il sonno.
Disse il primo: - Io dormirò –
Disse il secondo: - Io russerò –
Perché il terzo non parlò?

G. Rodari, Le filastrocche del cavallo parlante




Questi brevi testi in rima potrebbero sembrarti delle filastrocche, ma si tratta invece di NONSENSE, ovvero di testi che, come dice la stessa parola inglese — nonsense —sono assolutamente privi di senso logico.

Se le filastrocche, oltre ad essere divertenti per i loro giochi di parole, hanno anche scopi precisi ed individuabili, i nonsense hanno l'unico scopo di divertire i lettori con una successione di parole e frasi accostate le une alle altre seguendo semplicemente il filo dell'assurdo (nonsenso = assurdo). A determinare la particolare comicità dei nonsense è il fatto che il loro assurdo contenuto è presentato con grande serietà di tono, come se si trattasse di fatti del tutto normali, ragionevoli e coerenti: narrano assurdità come se fossero le cose più normali del mondo; ciò che conta sono solo la rima e il ritmo.

I nonsense furono creati, verso la metà dell'Ottocento, da uno scrittore inglese, Edward Lear (1812-1888), il quale pubblicò "A book of Nonsenso" (Un libro di nonsense) da lui stesso illustrato, riscuotendo un successo che ancora oggi perdura. Questi componimenti vengono chiamati anche "limerick" dal nome dell'omonima città irlandese, la parola viene usata come sinonimo di filastrocca assurda e senza senso in ricordo di un’antica canzoncina infantile, un tempo pare molto nota, che cominciava così: “vuoi venire a limerick?”. Se rileggi adesso i nonsense di Lear che ti abbiamo presentato in apertura, potrai coglierne lo spirito tipicamente inglese di questo tipo di testo: presentare un comportamento assurdo ed illogico come se fosse qualcosa di ovvio e banale.

La struttura del nonsense

I nonsense si presentano con delle caratteristiche fisse, facilmente individuabili: la maggior parte di essi inizia con l'espressione "C'era" che introduce il personaggio (in genere un vecchio, una signorina, un signore, una ragazza, un giovane...), cui segue l'indicazione della città o del paese di provenienza; il secondo verso descrive azioni o caratteristiche, naturalmente assurde, del personaggio che vengono ulteriormente chiarite nei due versi successivi con una perfetta "coerenza" rispetto a quanto detto precedentemente; l'ultimo verso, infine, si riferisce sempre al personaggio presentato in apertura che viene ulteriormente caratterizzato, di solito con un aggettivo. Un'altra caratteristica dei nonsense è il numero fisso dei versi (cinque) e la presenza della rima, che si ripete con una determinata successione: il primo verso rima con il secondo e con il quinto, mentre il terzo rima con il quarto (AABBA).

· Nei limerick di Rodari che hai letto vi sono alcune parole che non si trovano nel dizionario. Inventa anche tu qualche parola buffa del genere e usala per descrivere una persona di tua conoscenza

· Prova tu a fare un limerick ispirandoti a un tuo compagno o a un tuo insegnante.

La mia sera




Il giorno fu pieno di lampi;
ma ora verranno le stelle,
le tacite stelle. Nei campi
c'è un breve  gre gre di ranelle.
Le tremule foglie dei pioppi
trascorre una gioia leggiera.
Nel giorno, che lampi! che scoppi!
Che pace, la sera!

Si devono aprire le stelle
nel cielo sì tenero e vivo.
Là, presso le allegre ranelle,
singhiozza monotono un rivo.
Di tutto quel cupo tumulto,
di tutta quell'aspra bufera,
non resta che un dolce singulto
nell'umida sera.

E', quella infinita tempesta,
finita in un rivo canoro.
Dei fulmini fragili restano
cirri di porpora e d'oro.
O stanco dolore, riposa!
La nube nel giorno più nera
fu quella che vedo più rosa
nell'ultima sera.

Che voli di rondini intorno!
Che gridi nell'aria serena!
La fame del povero giorno
prolunga la garrula cena.
La parte, sì piccola, i nidi
nel giorno non l'ebbero intera.
Nè io ... che voli, che gridi,
mia limpida sera!

Don ... Don ... E mi dicono, Dormi!
mi cantano, Dormi! sussurrano,
Dormi! bisbigliano, Dormi!
là, voci di tenebra azzurra ...
Mi sembrano pianti di culla,
che fanno ch'io torni com'era ...
sentivo mia madre ... poi nulla ...
sul far della sera.

NOTE

tacite stelle = la scelta di questo aggettivo è volta a sottolineare il contrasto tra il fragore della tempesta e la quiete della sera, ben rappresentata dalla suggestione del cielo stellato.
gre gre = onomatopea. Il dato sonoro, il festoso gre gre delle rane, va ad aggiungersi a quello visivo.
tremule foglie = l'idea della leggera brezza viene resa attraverso il vibrare delle foglie dei pioppi e contribuisce a trasmettere un senso di gioia e di serenità.
trascorre = percorre.
aprire = le stelle devono sbocciare, quasi come corolle di fiori, in un prato celeste, Tenero e vivo il sereno ha una trasparenza così limpida (tenero) da parere vivo.
singhiozza = la natura viene umanizzata. In questo caso non è il singhiozzare del pianto ma ciò che rimane alla fine del pianto, è il residuo del pianto quando il dolore è già superato.
di tutto quel cupo tumulto,di tutta quell'aspra bufera = di tutto quel rumore violento, di tutta quell'impetuosa bufera,
più rosa: quasi a significare che  anche i più forti dolori si tramutano in dolcezza, perché hanno reso l'anima più pura.
un dolce singulto = il dolce singhiozzo del ruscello che è un canto (rivo canoro). E' il rivo che in precedenza (v.12) era citato come singhiozzante ed ora il canto delle rane ha assorbito il suo lamento.
fragili = è un aggettivo di suono ripreso dalla poesia latina (Ovidio, Virgilio, Lucrezio), è un latinismo poetico che richiama fragor "rumore che fa una cosa rompendosi", l'accezione è metaforica: tanto rumore e così effimero. I fulmini per la loro momentanea durata, il loro breve zig-zag nel cielo, diventano simbolo di fragilità e precarietà.
Cirri = tipi di nuvole. Dei fulmini resta solo il loro riverbero dorato nelle nuvole.
La nube che gli appariva, nel corso della vita (nel giorno) più tempestosa (nera), ora nella vecchiaia (nell'ultima sera) gli appare la più rosea. Col passare degli anni anche i dolori più forti si addolciscono attenuandosi.
la garrula cena =la cena delle rondine, piena di gridi. Il garrire è il verso dei pulcini che hanno fame e pigolano con insistenza. Durante il giorno gli uccelli non hanno potuto volare e procurarsi il cibo e solo con il sereno possono farlo, quindi, dopo aver dovuto aspettare, ora la cena è più festosa e più lunga.
La parte...intera = la porzione di cibo, già piccola, i piccoli nei nidi non l'ebbero intera durante il giorno.
Né io = E nemmeno io...Il simbolismo diventa qui apertamente autobiografico: la vita di Pascoli è stata come la giornata di queste rondini, anche la vita del poeta non gli diede quel tanto di felicità a cui aveva diritto ma dopo le ansie e i dolori (voli, gridi) ora finalmente con la limpida sera sopraggiunge il sereno, la tranquillità ed il poeta può assaporare e gustare la pace conquistata dopo tante tempeste.
Don ... Don ...= onomatopea, il suono delle campane serali sono le voci delle tenebre che Pascoli definisce azzurre perché il loro suono si effonde nel cielo e ne richiama il colore (tenebra azzurra del cielo).
com'era = fanciullo. sentivo mia madre ... poi nulla : riemergono nella memoria del poeta ricordi e impressioni dell'infanzia lontana.

 

Commento
Notizie sul poeta: La poesia La mia sera é stata scritta nel 1903 da Giovanni Pascoli ed é tratta dalla raccolta “Canti di Castelvecchio”.
Parafrasi:
Durante il giorno ci furono molti lampi ma ora verranno le stelle, le silenziose stelle. Nei campi c’è un breve gre gre prodotto dalle rane. Una brezza leggera fa tremare, come un brivido di gioia, le foglie dei pioppi. Nel giorno, che lampi! Che scoppi! (Invece) che pace la sera!
Devono sbocciare le stelle nel cielo così tenero e dolce. Là, vicino alle allegre rane, un ruscello scorre producendo un gorgoglio simile ad un singhiozzare sempre uguale. Di tutto quel rumore violento, di tutta quell'impetuosa bufera, non resta che un dolce singhiozzo nella sera umida. Quella tempesta che sembrava non finire mai, è terminata in un ruscello che ora produce un suono melodioso. Al posto dei fulmini restano delicate nuvolette colorate di porpora e d'oro. O dolore stanco , placati! La nuvola che durante il giorno appare più carica di tempesta è la stessa che vedo più rosa quando la sera sta per finire. Che bello ammirare il volo delle rondini intorno! Che bello udire i rumori nell'aria serena! La fame patita durante il temporale rende la cena più lunga e festosa. La loro porzione di cibo, nonostante fosse così piccola, i rondinotti durante il giorno non l'ebbero per intero. Nemmeno io... e dopo le ansie e i dolori, mia limpida sera! Don... Don... Le campane mi dicono, Dormi! Mi cantano, Dormi! Sussurrano, Dormi! Bisbigliano, Dormi! Là le voci del buio azzurro della notte... Mi sembrano canti di culla, che mi riportano all'infanzia... sentivo mia madre... poi nulla... sul far della sera.
Argomento: racconta di una sera dopo il temporale dal punto di vista del "fanciullino". Di fronte allo spettacolo della natura rinfrescata dal temporale e in cui pullulano mille vite canore, il Poeta si sente in armonia e si domanda che ne sono dei dolori e delle acerbità del passato. Adesso anch'essi si sono acquietati e dormono in un’atmosfera di affetti ed emozioni intime. Il tutto viene ricondotto al caldo e rassicurante legame con la madre.
Si possono distinguere due parti: la prima dal verso 1 al 20 che è rivolta a rappresentare la natura rasserenata mentre la seconda è incentrata sulla corrispondenza tra la vicenda del giorno che si è serenamente concluso dopo la tempesta e la vicenda biografica, dove al passato tumultuoso è seguito la serenità della fase conclusiva della vita, che può anche suggerire l'idea della morte.
L’autore immagina una sera estiva dopo un temporale e descrive le silenziose stelle e i campi, nei quali si sentono le rane, mentre arriva la quiete della sera. Con questa poesia l’autore vuole fare un paragone tra il temporale e la pace della sera, cioè paragona il temporale alla vita travagliata (perdita del padre e della madre) e la sera ad un momento di pace della sua vita.
Tema: il poeta attraverso la similitudine della giornata burrascosa vuole spiegare la sua vita difficile e farci capire che solo adesso ha trovato la pace.
Messaggio: il poeta prova serenità e pace, dopo tanti dolori anche per lui come per le rondini arriva il momento di stare meglio Inizia come la quiete dopo la tempesta di Leopardi ma La mia sera del Pascoli termina con una notazione autobiografica, con la rievocazione, cioè, dell'infanzia e della madre, che cullava dolcemente il poeta: è una conclusione, quindi, tutta individuale e personale.
Linguaggio poetico:
Questa poesia é suddivisa in 5 strofe di 8 versi ciascuna.
I versi sono tutti novenari tranne gli ultimi di ogni strofa che sono senari e sono chiusi sempre dalla parola sera. Anafora.
La rima é alternata e segue principalmente lo schema ABABCDCD; però non tutte le strofe (es: 3°strofa) seguono questo schema. Sul piano fonico l'intera poesia è fra le più notevoli del Pascoli.
 Nel 3 verso c’è una sinestesia “tacite stelle” perché le stelle non possono essere silenziose e il poeta con questa espressione vuole indicare la tranquillità di quando in cielo ci sono le stelle ossia durante la sera. In alcuni testi è una metafora Enjambemant tra 3-4 e 5-6
Nel verso 4 c’è un onomatopea “breve gre gre di ranelle”, con questa espressione il poeta crea molta musicalità e inoltre con l’allitterazione della lettera r rende il suono più cupo, più dolce e più acuto.
Verso 19 ossimoro (“..fulmini fragili...”)
Verso 20 nota ancora l'allitterazione cirri di porpora e d'oro Enjambemant tra 19 e 20
Verso 21 metonimia (“..stanco dolore...”). Enjambemant tra 27-28
Nel verso 29 c’è una sineddoche “i nidi” perché con l’espressione nidi lui si riferisce ai rondinotti che stanno dentro i nidi. Enjambemant tra 29 e 30
Nel verso 32 c’è un onomatopea “don….don” che riproduce il suono delle campane
Enjambemant tra 34-35
Nel verso 36 “voci di tenebra azzurra” è un’onomatopea (voci) unita con sinestesia (l’insieme di due sensi; vista e udito) e con un ossimoro (tenebra azzurra) e una metafora (indicano le voci della morte). Là, voci di tenebra azzurra: analizziamo questa preziosa sinestesia inserita all'interno dell’analogia campane-voce. Le voci di tenebra azzurra sono infatti quelle delle campane che suonano nell'aria serale del tramonto, che non è ancora nera di tenebre, ma non è certamente luminosa come l'azzurro del ciclo diurno.






SPERANZA


Pazzamente felice. Così si sentiva ogni volta che guardava i suoi bambini che riposavano tranquilli nei rispettivi lettini. Due gemelli: la sua gioia. Le sofferenze provate nel metterli al mondo erano state ampiamente ripagate dalla serenità che quei visetti birichini le regalavano ogni giorno e ogni ora e ogni minuto della sua vita. Angeli scesi per lei dal cielo lontano, fiorellini profumati e sempre freschi, orsetti paffutelli, meravigliose creature, felicità incarnata…. Occhi nocciola, capelli biondi e ricci, espressione tenera e perennemente sorridente….. “I suoi gioielli”, nel vero senso della parola! Eccoli che dormivano beati: Sandro con le manine a pugnetti appoggiate sul cuscino e Stefano con i capelli più scomposti ed arruffati del solito. Li amava da impazzire! Non riusciva nemmeno a pensare la sua vita senza averli accanto. Ora che avevano iniziato a camminare erano proprio divertenti e quante ne combinavano insieme su e giù per il corridoio di casa! Tutta la sua vita trascorreva ormai nel proteggerli, ammirarli, baciarli, curarli…Uscì in punta di piedi da quella stanza e si decise a scendere sotto casa per la spesa. “Stanno dormendo beati –disse al marito- ogni tanto controllali. Io torno appena posso”. Prese l’ascensore ancora sorridendo al pensiero di quei due fagottini che si erano appena addormentati e che al ritorno avrebbe stretto e sbaciucchiato mille e mille volte ancora. Girò l’angolo ripassando mentalmente la lista dei prodotti da acquistare al supermarket. Si sentiva leggera e spensierata, tranquilla, appagata…Urtò senza volerlo contro un cumulo di cartoni accantonati poco lontano dall’ingresso del negozio. Imprecò e si fermò. Riprese a camminare ma sentì un gemito. Cosa aveva urtato? Si voltò, sospirò, decise di proseguire. E un altro gemito soffocato proprio dal cumulo di cartoni arrotolati e sistemati fuori una fila di cassonetti per l’immondizia. Ma cos’era? Un gatto? Un cagnolino infreddolito?
Si guardò attorno come cercando conferme, conforto, aiuto. Possibile che tutte le persone che entravano e uscivano dal negozio non avevano notato nulla? Ma poi era così sicura di quello che aveva udito? Trattenne il respiro, ascoltò… Era un pianto… pianto umano… di bimbo.
Cosa fare? Mettersi a rovistare in quei cartoni? Chiedere aiuto?Passò un ragazzino in bicicletta : “Mi fai un favore?” “Dite signò!” “Vieni con me, stammi vicino… guardiamo cosa c’è”
“Signò io devo andà….” Con la punta della scarpa provò a muovere i cartoni… capì che nascondevano una vecchia valigia di tela, chiusa da una cerniera. Si avvicinò, la toccò col piede, la spinse. Riprese quel gemito, sempre più stizzito e chiaro: era di un neonato. Un cucciolo d’uomo! Un bambino…. Ebbe paura, si sentì mancare, mormorò parole di stizza. “Ma chi ce l’ha messo? Brutti irresponsabili! E che faccio ora?”L’istinto era di scappare…. “E se muore?” Sarebbe stata complice di quell’orribile omicidio? Una macchia rosso scuro sulla tela della borsa la fece trasalire…. “E’ un neonato davvero! E sta male.. sta sanguinando…”
“Aiuto… Aiutatemiiiiiii” L’urlo isterico richiamò l’attenzione della gente: accorsero in tanti, qualcuno chiamò i carabinieri e la guardia giurata che sorvegliava una banca nei paraggi sfidò la paura di tutti e andò ad aprire quella borsa dei misteri. Il pianto si fece più chiaro e rauco… “O mio Dio è una bambina… ma chi diavolo t’ha messa qui dentro? Accidenti a quella disgraziata che t’ha partorito….” Era una bimba scura e insanguinata, raggrinzita e affamata….
La vide passare tra le braccia di un carabiniere e scoppiò in un pianto dirotto…
“Ma lei è una parente?” chiese qualcuno “No! Io passavo… io l’ho sentita gemere…Io non so nulla”. Piangeva a dirotto. Presero dell’acqua e la fecero sedere nel negozio… “Devo andare… grazie..scusate…scusate…” Corse via trascinandosi dietro lo sguardo severo di molti che ormai la credevano complice di quel tentato omicidio…“Ma come si può? –pensava- Ma chi ha avuto il coraggio di chiudere quella cerniera? Ma come si può?… Come si può?”Ripensava ai suoi gemelli… curati e amati e coccolati…. Ma il pianto disperato di quella creatura infelice le era entrato nel cuore… Avrebbe voluto dimenticare ma ne parò la Tv, ne scrissero i giornali, se ne discusse in casa e nel quartiere. Quando la vide nello schermo, che ciucciava tranquilla fra le braccia di un’infermiera non potè fare a meno di piangere. Era bellissima: una mulatta di due chili e duecento…ma con problemi di respirazione… superabili… forse. Pregò per lei, pregò per la madre che l’aveva messa al mondo e…per se stessa, per avere la forza di dimenticare.
Guardava i gemelli ridere e scherzare ma la felicità piena di qualche giorno prima si tramutava in una punta di dolore e…sospirava… e correva a stringerli per appagare quella sensazione di timore e di apprensione. Il quarto giorno lo disse al marito: “Sento sempre quel rantolo, quel pianto soffocato… e poi la vedo…nuda e insanguinata che esce da quella borsa… Cosa posso fare per dimenticarla?” “Ma non è colpa tua! Anzi! L’importante è che sia ancora viva. Qualcuno l’adotterà e si prenderà cura di lei”. Ma il suo dolore non si placava. Chiese aiuto al suo medico, poi ad uno specialista. “Lei l’hai salvata –le dissero entrambi- se la creaturina vive ancora è solo grazie a lei!” Poi la sognò, se la strinse al cuore e ne sentì il calore.
Aveva lo stesso profumo dei gemelli, la stessa purezza, la stessa freschezza e bellezza di quando Sandro e Stefano le sorridevano… Due bimbi felici, i suoi… ma come poteva esserlo ancora la loro mamma senza sentirsi egoista e irresponsabile? “Non l’hai abbandonata tu –disse un giorno il marito- tu l’hai solamente ritrovata, l’hai salvata…” Ma perché ritrovarla e salvarla per…abbandonarla di nuovo? Si vestì in fretta e corse all’ospedale, spiegò tutto alla caposala e finalmente la rivide. “L’abbiamo chiamata Speranza” dissero le infermiere mentre lei non smetteva di guardarla fra le lacrime. “La prenda in braccio, l’accarezzi…”
Nella tutina rosa a fiorellini Speranza, paffutella e graziosissima, sembrava davvero una bambolina color caramello. Dev’essere indiana o bengalese” disse qualcuno mentre la bimba si stiracchiava sorniona fra le braccia della sua nuova mamma. Qualche mese dopo, guardandola dormire nella culletta accanto ai lettini dei gemelli rimase colpita dalla strana somiglianza di quei tre cuccioletti che adorava. Ad occhi chiusi sembravano davvero fratelli: Sandro e Stefano coi loro riccioli biondi e la carnagione lattea e Speranza con la pelle color cuoio ed i capelli neri come l’inchiostro…

giovedì 15 marzo 2012

il cuore più bello

Il cuore più bello.

C'era una volta un giovane in mezzo a una piazza gremita di persone: diceva di avere il cuore più bello del mondo, o quantomeno della vallata. Tutti quanti glielo ammiravano: era davvero perfetto, senza alcun minimo difetto. Erano tutti concordi nell'ammettere che quello era proprio il cuore più bello che avessero mai visto in vita loro, e più lo dicevano, più il giovane s'insuperbiva e si vantava di quel suo cuore meraviglioso. All' improvviso spuntò fuori dal nulla un vecchio, che emergendo dalla folla disse: "Beh, a dire il vero... il tuo cuore è molto meno bello del mio." Quando lo mostrò, aveva puntati addosso gli occhi di tutti: della folla e del ragazzo. Certo, quel cuore batteva forte, ma era ricoperto di cicatrici. C'erano zone dalle quali erano stati asportati dei pezzi e rimpiazzati con altri, ma non combaciavano bene, così il cuore risultava tutto bitorzoluto. Per giunta, era pieno di grossi buchi dove mancavano interi pezzi. Così tutti quanti osservavano il vecchio, colmi di perplessità, domandandosi come potesse affermare che il suo cuore fosse bello. Il giovane guardò com'era ridotto quel vecchio e scoppiò a ridere: "Stai scherzando!"- disse. "Confronta il tuo cuore col mio: il mio è perfetto, mentre il tuo è un rattoppo di ferite e lacrime." "E' vero!", ammise il vecchio. "Il tuo ha un aspetto assolutamente perfetto, ma non farei mai cambio col mio. Vedi, ciascuna ferita rappresenta una persona alla quale ho donato il mio amore: ho staccato un pezzo del mio cuore e gliel'ho dato, e spesso ho ricevuto in cambio un pezzo del loro cuore a colmare il vuoto lasciato nel mio cuore. Ma, certo, ciò che dai non è mai esattamente uguale a ciò che ricevi e così ho qualche bitorzolo, a cui però sono affezionato: ciascuno mi ricorda l'amore che ho condiviso!
Altre volte invece ho dato via pezzi del mio cuore a persone che non mi hanno corrisposto: questo ti spiega le voragini. Amare è rischioso, certo, ma per quanto dolorose siano queste voragini che rimangono aperte nel mio cuore, mi ricordano sempre l'amore che ho provato anche per queste persone...e chissà, forse un giorno ritorneranno e magari colmeranno lo spazio che ho riservato per loro. Comprendi, adesso, che cosa significa avere il cuore più bello del mondo? Il giovane era rimasto senza parole e lacrime copiose gli rigavano il volto.
Prese un pezzo del proprio cuore, andò incontro al vecchio, e gliel'offrì con le mani che tremavano. Il vecchio lo accettò, lo mise nel suo cuore, poi prese un pezzo del suo vecchio cuore rattoppato e con esso colmò la ferita rimasta aperta nel cuore del giovane.
Ci entrava, ma non combaciava perfettamente, faceva un piccolo bitorzolo.
Poi il vecchio aggiunse: "Se la nota musicale dicesse:" Non è la nota che fa la musica..."Non ci sarebbero le sinfonie. Se la parola dicesse: "Non è una parola che può fare una pagina..."Non ci sarebbero i libri. Se la pietra dicesse: "Non è una pietra che può alzare un muro..."Non ci sarebbero case. "Se la goccia d'acqua dicesse: "Non è una goccia d'acqua che può fare un fiume..."Non ci sarebbero gli oceani". Se l'uomo dicesse: "Non è un gesto d'amore che può rendere felici e cambiare il destino del mondo..."Non ci sarebbero mai né giustizia, né pace, né felicità sulla terra degli uomini". Dopo aver ascoltato, il giovane guardò il suo cuore, che non era più "il cuore più bello del mondo", eppure lo trovava più meraviglioso che mai: perché l'amore del vecchio ora scorreva dentro di lui.